Eccedenze tedesche, fonte di squilibrio per l’Europa e per gli Stati Uniti d’America

Le quattro parole più pericolose in un investimento sono: questa volta è diverso

John Templeton

Germania

Deutschland über alles, über alles in der Welt, ovvero, la Germania sopra a tutto, sopra a tutto nel mondo. L’annuncio del grande surplus del bilancio tedesco, un vero serpente marino in Europa, suona come una provocazione per il presidente americano. Come al solito, la questione ha una visuale diversa a seconda da dove la si osserva.

Come Advisor, annoto che la Germania sta registrando, ancora una volta, un grande surplus. Secondo l’IFO, ossia l’Institute for Economic Research l’influente indicatore di Monaco, l’eccedenza dovrebbe essere vicina a 300 miliardi di euro quest’anno, ovvero il 7,8% del prodotto interno lordo, cioè del PIL. Sarà un po’ meno del record ottenuto nel 2017, ma il paese rimane, comunque, sul primo gradino del podio, davanti a Giappone e Cina.

Ovviamente, nel versante degli Stati Uniti, questo risultato annunciato sembra una provocazione. Non a caso, questo scottante argomento è rapidamente divenuto una parte delle ossessioni di Donald Trump. A maggio 2017, ad esempio, aveva già twittato che era molto negativo per gli Stati Uniti aver enorme deficit commerciale con la Germania. Inoltre, ricordava come la Germania non sosteneva economicamente quanto dovrebbe la NATO.

Quindi, è alquanto evidente che le cosiddette eccedenza tedesche siano tanto una fonte di squilibrio per l’Europa, quanto per gli Stati Uniti d’America. Infatti, se per il presidente americano è frutto di trucchi il fatto che la Germania risulti essere un paese in surplus, in Europa, le eccedenze tedesche sono viste come un pericoloso serpente di mare.  Soprattutto in Francia, dove si dilettano regolarmente a prendere in giro i loro vicini troppo virtuosi. In tempi recenti, anche il Fondo monetario internazionale, cioè l’FMI, ha, stranamente, aderito alle critiche.

Ma, in effetti, qual è il problema?  La competitività dell’industria in Germania è stata in parte amplificata dalla moderazione salariale nel paese all’inizio degli anni 2000. Non a caso, l’eccedenza tedesca ha diverse fonti. Comunque, è da considerare come sia, principalmente, il risultato del dinamismo dell’industria in Germania. Quindi, la sua competitività è stata solamente in parte amplificata dalla moderazione salariale nel paese all’inizio degli anni 2000. Quel che è certo, che i salari più bassi hanno limitato le importazioni stimolando, al tempo stesso, le esportazioni.

A tal proposito, da Advisor devo ricordare che, secondo una recente nota del Tesoro francese, il fenomeno spiega almeno un terzo dell’attuale avanzo delle partite correnti tedesche. Certamente, la crescita industriale ed economica della Germania è un qualcosa di incontrovertibile.

Di conseguenza, è più che normale che sia i paesi europei e sia gli Stati Uniti d’America, vedano il tutto come un qualcosa in grado di modificare i già delicati equilibri della politica economica mondiale. Pur tuttavia, è da ammettere in conclusione, che tutto ciò è anche il frutto dell’enorme eccesso di risparmio pubblico e privato del paese di Angela Merkel, superiore alle esigenze degli investimenti interni.

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L’importanza di comprendere le correzione del mercato

Il fattore chiave che determinerà il tuo futuro finanziario non è l’economia; il fattore chiave è la tua filosofia

Jim Rohn

Come Advisor, sono dell’avviso che un ritorno alla razionalità, anche se costa agli investitori, sia sempre un qualcosa di basilarmente importante. Cardine della questione è, quindi, il saper comprendere le correzioni del mercato.

Da Advisor, considerato fondamentale, proprio per una maggiore comprensione, tornare indietro di qualche anno. Dopo la grande crisi finanziaria del 2008, tutti i governi dei paesi sviluppati si sono dichiarati incapaci di rimettere in carreggiata le proprie economie, paralizzate dai loro livelli eccessivi di debito. Il destino delle economie è stato, quindi, consegnato alle banche centrali.

Esse, hanno usato tutto il loro potere per svolgere il loro compito, utilizzando l’unico mezzo a disposizione di una banca centrale per sostenere l’attività economica, ovvero fornire liquidità al sistema economico.

Le banche centrali hanno, pertanto, intrapreso il percorso coraggioso delle transazioni non convenzionali, compresi gli acquisti massicci di attività finanziarie dal mercato. Queste operazioni hanno portato liquidità senza precedenti al sistema economico, acquistando obbligazioni sistematiche e massicce e facendo cadere drasticamente i tassi di interesse. Questo calo dei rendimenti ha spinto gli investitori a cercare compensazioni più interessanti, acquistando nel mercato del credito e azionario.

Non è stata, perciò, la performance dell’economia reale a motivare gli investitori azionari, ma la promessa delle banche centrali che il costante contributo alla liquidità continuerebbe a sostenere il prezzo di tutte le attività finanziarie.

Questa dinamica complessiva ha portato i mercati obbligazionari e azionari ad avere lo stesso slancio verso l’alto, con l’indice azionario europeo, ad esempio, che ha guadagnato oltre il 40% dal 2013 al 2017, mentre il tasso di interesse sui titoli di Stato tedeschi è stato diviso per quattro, passando dal 2% allo 0,5% nel periodo.

Non importava, in quel periodo, che la crescita economica reale rimanesse fiacca. Paradossalmente, finché l’impatto di queste politiche monetarie sull’economia reale è rimasto insufficiente, è stata assicurata la continuità del sostegno delle banche centrali.

Di conseguenza, i mercati potrebbero continuare a salire. Pertanto, la domanda che era legittimo chiedersi era il sapere quale forma avrebbe preso il risultato di questo periodo eccezionale. In caso di fallimento finale di queste politiche monetarie, vale a dire in caso di calo dell’inflazione, i mercati rischiano una notevole crisi di fiducia. Questo fallimento è stato evitato.

Dovrebbe essere capito, invece, che l’ascesa dei mercati negli ultimi anni è stata su una cresta formata da diverse insidie. La banca centrale degli Stati Uniti, ossia la Fed, è stata in grado di interrompere l’acquisto di obbligazioni nell’ottobre 2014 senza che i mercati o le obbligazioni o le azioni non si muovessero in modo duraturo. Durante questo periodo, la crescita e l’inflazione non erano né troppo forti né troppo deboli.

La Banca centrale europea, subito dopo il 2015, ha avviato il proprio programma di acquisto. Inoltre, sulla scia del timore che il voto britannico sulla Brexit ha causato sui mercati a giugno 2016, le banche centrali sono state in grado di placare immediatamente gli investitori con il tanto necessario sostegno. In conclusione, gli investitori devono capire che i fattori di performance a cui si sono abituati si stanno invertendo.

I pericoli di eccessi derivanti da una fase di espansione dei mercati finanziari

Investire con successo significa anticipare le anticipazioni degli altri

John Maynard Keynes

Advisor Abbate - economia, crisi incertezzaCome Advisor, so perfettamente che la troppa euforia e i mille “evviva” che nascono spontaneamente da una positiva fase di espansione dei mercati finanziari possono, alle volte, innescare pericolosi eccessi di facile entusiasmo.

Come Advisor, ricordo che è proprio in questa delicata fase che gli investitori sono soliti commettere evitabilissimi errori. Se, ad esempio, dall’inizio dell’anno, il mercato azionario statunitense è cresciuto dell’8,5%, i mercati azionari europei sono scesi del 2% in media e quelli dei mercati emergenti sono diminuiti del 10%. Quindi, la spettacolare performance del mercato americano, può essere un qualcosa di “insolente”.

Quando ci avviciniamo alla fine di un ciclo, come sembra essere il caso in questione, diventa sempre molto difficile mantenere forti convinzioni. Non a caso, è proprio nell’ultima fase di espansione, che i mercati tendono a commettere i loro maggiori eccessi. Personalmente, sono dell’avviso che l’entusiasmo generale, il vertiginoso aumento dei mercati azionari e l’aumento dell’inflazione, concorrono a far sì che si vada a produrre, quasi meccanicamente, un loro antidoto.

Di solito, le banche centrali, ansiose di calmare il gioco, stringono la loro politica monetaria. Un qualsiasi banchiere centrale, tradizionalmente, ha come spauracchio storico l’inflazione. Quasi per inerzia, perciò, si tende a frenare una crescita. Nel tempo, ho potuto constatare come le banche centrali si siano abituate a commettere l’errore di continuare ad aumentare i tassi di interesse mentre la crescita economica è iniziata a rallentare. In questo panorama, poi, non può certamente essere dimenticata la crociata protezionistica di Donald Trump, la quale preoccupa, non poco, i mercati finanziari. Così facendo, le banche centrali contribuiscono molto spesso alla recessione economica e alla crisi del mercato.

A testimonianza di questa tendenza, è sufficiente citare Jean-Claude Trichet, allora presidente della Banca centrale europea ossia la BCE, il quale decise di aumentare i tassi chiave nell’agosto 2008, perché gli indicatori di inflazione erano tesi, mentre la recessione economica era già in progress. Questo errore è rimasto indelebile nei miei ricordi. In sua difesa, tuttavia, è da rammentare che, con rarissime eccezioni, i banchieri centrali credono solo a ciò che vedono. Personalmente, sono dell’opinione che si debbano saper anticipare le inversioni.

D’altra parte, è essenziale che gli investitori anticipino le inversioni, pena la rovina, come accadde nel periodo 2000 e 2001 o nel 2008. Dovremmo, quindi, smettere di partecipare all’euforia derivante del mercato americano, perché quest’ultimo potrebbe emetterebbe il suo ultimo urrà? Il compito di rispondere a questa domanda, che è molto classica, di solito arriva dagli economisti. Per il momento, rimango relativamente ottimista sulla crescita degli Stati Uniti, grazie a una politica fiscale fortemente stimolante che compensa la stretta monetaria.

Ad ulteriore spiegazione, sufficiente per giustificare una simile opinione del mercato americano, desidero sottolineare come l’incontro di questa crescita economica con due perturbazioni esogene piuttosto eccezionali, sia molto decisiva per comprendere l’eccezione americana. In conclusione, sono dell’avviso che banche centrali non possano, questa volta, accontentarsi di aumentare, seppure con cautela, i loro tassi di interesse.

Cos’è e da cosa può essere influenzata una strategia aziendale

La strategia è la via del paradosso. Così, chi è abile, si mostri maldestro; chi è utile, si mostri inutile. Chi è affabile, si mostri scostante; chi è scostante, si mostri affabile

Sun Tz

Advisor Abbate - economia - sviluppo

Come Advisor, più in una occasione, sono costretto a dover osservare i mille aspetti e situazioni che possono andare ad influenzare una strategia aziendale. In una dinamica competitiva, la strategia di una azienda è parte del lavoro di Advisor. L’insieme, perciò, è un processo di elaborazione, con le sue incertezze e le sue ambiguità riguardo alle aspettative e alle preferenze.

La strategia è sviluppata, pertanto, come un dialogo tra decisioni e azioni, intervallate da attriti. In altre parole, situazioni ambigue come, appunto, i momenti di attrito offrono opportunità per i giochi d’influenza. L’influenza di un’azienda può apparire al suo interno o nei suoi rapporti con il mondo esterno in ogni fase della sua attività. Conoscere e analizzare questi elementi, pertanto, contribuisce alla costituzione della propria identità aziendale.

L’azienda costruisce relazioni con altre entità nel suo ambiente e ciò può avvenire in molte forme. Infatti, queste non sempre si conformano ai tradizionali modelli di mercato e organizzativi. In particolare, i legami che l’azienda ha per accedere a risorse scarse da cui dipende, sono spesso simili a relazioni influenti. Di conseguenza, è più che normale che l’influenza degli operatori si vada a concentrare sulla valutazione delle informazioni e delle relazioni.

Ma il ruolo dell’influenza nella strategia aziendale, va ben oltre a questo quadro. Per comprendere tutti i fenomeni di cambiamenti nelle aspirazioni, nelle preferenze e negli interessi, dunque, è vitale approfondire la conoscenza della materia.  Non a caso, l’influenza non si adatta a tutti i contorni della strategia di una azienda. Infatti, parte di questa strategia deriva da scelte deliberate, a volte da realtà emergenti, e talvolta solo il ruolo svolto dall’influenza consente di migliorarne lo sviluppo. A fronte di tutto ciò, è possibile andare a definire un concetto usando le pratiche conosciute, anche perché, alle volte, la pratica precede la ricerca teorica.

Per quanto riguarda l’influenza, la pratica ingrandisce e specifica il campo. La teoria ha cercato a lungo di spiegare i meccanismi e definire le molle. Ricercatori e professionisti concordano spesso sul fatto che il concetto di influenza è definito dalla sua attuazione.

Tuttavia, condividono una definizione generale. L’influenza di una azienda, secondo James G. March, per esempio, è la sua capacità di modificare le preferenze, gli interessi e le aspirazioni dei suoi stakeholder e della società in generale, così da farli agire nella direzione delle proprie preferenze, viste come interessi e aspirazioni agli occhi dei suoi decisori.

In altre parole, per raggiungere gli obiettivi dell’azienda, i suoi membri possono utilizzare le tecniche di influenza per attirare l’attenzione o fare un’impressione, o per diffondere argomenti o guidare le scelte. Queste pratiche, in conclusione, sono rivolte a clienti, fornitori, fornitori di servizi e tutti gli altri attori i cui collegamenti sono essenziali per l’allocazione e la valorizzazione delle risorse.

Le insidie di una economia globalizzata

“Stiamo governando la globalizzazione o la globalizzazione governa noi?”

José Mujica

Il dibattito sulla globalizzazione si basa su un gran numero di indicatori, cause e conseguenze, che, molto spesso, sono intercambiabili nel modo di presentare la realtà. Nella discussione sulla globalizzazione, comunque quale Advisor ritengo che sembra esserci un consenso sul fatto che i flussi valutari internazionali, l’espansione globale del neoliberismo, una società in rete e, allo stesso tempo, la fine degli stati-nazione e un ruolo più decisivo delle corporazioni transnazionali e dell’occidentalizzazione / americanizzazione del mondo, possano influenzare l’economia.

Recentemente, come Advisor, ho avuto il piacere di prendere parte ad una interessantissima tavola rotonda sul tema “Le insidie di una economia globalizzata”. A prescindere che, sulla globalizzazione si possano distinguere diverse posizioni, è, tuttavia, importante fermarsi per un momento per prendere coscienza di ciò di cui si sta effettivamente parlando. Non a caso, vi sono vari tipi globalisti.

Quelli che si definiscono i veri globalisti, ad esempio, vedono la globalizzazione come un’era interamente nuova che non dovrebbe essere confusa con la modernità. I cybermundialisti, seppure dicano la stessa cosa, specificano che è la cibernetica a renderla un’era a parte.

Di tutt’altro avviso sono i non globalisti, i quali sostengono che la globalizzazione non è una novità, dato che è sempre esistita. Quest’ultimi, si riferiscono principalmente all’era espansionistica, ovvero quel periodo storico che intercorre tra il 1870 e il 1914. In altre parole, vedono il processo di globalizzazione dal 1985 come una nuova ondata di espansionismo capitalista e imperialista. Oltre a queste visioni, vi è quella tanto caro ai Marxisti. Questi, considerano la globalizzazione come l’espansione del capitalismo in tutto il mondo. Poi vi sono anche quelli post-globalizzazione, i quali, in estrema sintesi, sostengono che, se vi è stato un periodo di globalizzazione, ma, ora non c’è più nulla.

È evidente, perciò, che vi siano numerose e diverse posizioni anche sul tema legato alle insidie di una economia globalizzata. Credo, alla luce di tutto ciò, che stiamo assistendo, complessivamente, ad un periodo alquanto tribolato, nel quale una sorta di neo localizzazione e una specie di universalismo siano condividendo lo stesso spazio. Tuttavia, è indubbio che, in senso lato, gli stati visti come nazione si stiano sgretolando e che nuove entità considerate più moderne e basate su identità neo-sociali stiano emergendo.

In una tassonomia, quindi, è assai complesso stabile di pensare semplicisticamente in termini di bene e male. I positivisti credono che la globalizzazione sia una cosa oggettiva e governata da un sistema esterno. Secondo questo punti di vista, si potrebbe intravedere un qualcosa che implica che non possiamo più fermarlo, ovvero una posizione incentrata sul fatto che non ci sia alternativa, e che, dunque, sia inutile combatterlo, e, di conseguenza, dobbiamo seguire la corrente.

Gli antiglobalisti, di contro, sostengono che la globalizzazione sia malvagia e sia guidata da poche persone che controllano i mercati finanziari.  Ciò, in pratica, significa che ci sono agenti all’interno del sistema globale che sono responsabili dei processi di globalizzazione.

È una posizione diametralmente opposta da un punto di vista sistemico. Quando diciamo che ci sono leader, infatti, dobbiamo renderli responsabili per ciò che è giusto e sbagliato nel processo di globalizzazione. In conclusione, vi sono i riformatori, i quali, in una sorta di keynesianismo globale, vogliono combattere il male e mantenere i buoni elementi della globalizzazione.

La pensione sociale: una solidarietà oppure una azione per ottenere consensi politici?

Quando alcune persone vanno in pensione, diventa difficile notare la differenza

Virginia Graham

La pensione sociale è, sicuramente, un argomento, non molto popolare. Nessun essere sensiente è, per principio, contrario ad uno stato sociale. Pur tuttavia, quando la solidarietà diventa un potente mezzo politico a danno della collettività, non è strano che qualche dissidio possa sorgere. Come Advisor, ben lontano da voler sollevare polemiche, registro come la delicata questione legata alla la pensione sociale, sia un aspetto economicamente importante.

Indubbiamente, da Advisor, so perfettamente che le pensioni sono un vero e proprio universo, dato che in esse confluiscono una infinità di modalità di erogazioni. Quella più nota, ovviamente, è la pensione che viene ad essere versata a seguito del versamento di contribuiti.

Ma oltre a questa formula, vi sono gli assegni di invalidità, le pensioni minime e quelle sociali. Secondo i dati forniti dall’INPS e aggiornati al novembre del 2017, per le pensioni di genere vario, nel solo 2016, l’INPS ha pagato 307 miliardi. Un dato che include, quindi, anche soggetti i quali non hanno versato alcun contributo e che, di conseguenza, sono a carico totale della fiscalità generale.

La storia tramanda che nel 1969 venne ad essere introdotta la pensione sociale, la quale venne ad essere erogata dall’INPS, ente creato da Benito Mussolini nel 1933. A partire dal 1° gennaio del 1996, la pensione sociale è stata sostituita dall’assegno sociale. Ma al di là della paternità della sua istituzione e delle correlate motivazioni, dopo così tanto tempo, forse, la domanda giusta da porsi è perché si debbano ancora erogare gli assegni sociali, alias pensioni sociali.

Difatti, alla base della questione, è, se l’assegno sociale è una prestazione economica che viene ad essere erogata a domanda a favore di quei cittadini che si trovano in particolari disagiate condizioni economiche, come è possibile che si arrivati all’età di 66 anni e non avere una condizione economica adeguata? Tutto ciò, infatti, può far insorgere un piccolo sospetto.

In pratica, a pensare male, si potrebbe anche ipotizzare che fino al raggiungimento dell’età per la quale è possibile richiedere l’assegno sociale, si sia, effettivamente, poco o per nulla pensato alla vecchiaia. Ossia, si sia lavorato in nero e, quindi, non si siano versati i contributi e, addirittura, non si siano pagate le tasse.

In effetti, salvo le doverose e possibili situazioni, oggi come oggi, è davvero difficile credere che si sia “campato”, più o meno, senza una condizione economica adeguata! Oltre a ciò, non è certamente difficile ipotizzare che tale strumento sia stato una sorta di “incentivo” a favore di certi partiti politici. In altre parole, la pensione sociale o, meglio, l’assegno sociale, è divenuto un potente mezzo per assicurarsi voti.

A titolo di cronaca, è da ricordare che la cifra dell’assegno sociale è di 453 euro per tredici mensilità. Certo, a prima vista può sembrare un qualcosa di poco conto ma, se si analizza la questione sotto ogni punto di vista, si comprende bene che diventa un qualcosa di molto oneroso per la collettività, visto che tale cifra è corrisposta a chi non ha mai versato alcun contributo in tutta la sua vita lavorativa.

In conclusione, voglio rammentare che tanto i cittadini comunitari quanto extra-comunitari quelli in possesso della carta di soggiorno e risultanti essere residenti in Italia, sono equiparati a quelli italiani anche per quello riguarda l’erogazione dell’assegno sociale.

Un nuovo sistema economico globale per un mondo migliore

Ci sono due problemi nella mia vita. Quelli politici sono insolvibili, mentre quelli economici sono incomprensibili

Alec Douglas-Home

 

L’attuale sistema economico globale deve assolutamente ammettere e riconoscere i propri profondi difetti. Da Advisor, reputo che aspetti quali, ad esempio, una miseria persistente in molti paesi, un impoverimento, in molti casi, della cosiddetta classe media e una disoccupazione, in parte nascosta da statistiche e trucchi fuorvianti, fanno parte di una lista non è affatto esauriente. In sostanza, si deve essere consci di quanto sia divenuto impellente attuare un nuovo sistema economico globale, anche perché l’ascensore sociale è bloccato in posizione di discesa per molte persone. Oltre che considerare il fatto che i poveri stiano diventando sempre più poveri e di come siano sempre più numerosi nei paesi ricchi, vi sono una infinità di rischi finanziari molto significativi che potrebbero portare al collasso economico.

Economicamente parlando, la grande maggioranza delle persone è in grado, attraverso il proprio lavoro, di finanziare i bisogni primari, ma, a condizione che abbiano accesso a un lavoro ben retribuito. In realtà, dunque, è solo una questione di volontà politica. Dobbiamo fermare le ideologie di destra e di sinistra. L’ultra liberalismo, non è più del collettivismo, la vera la soluzione! Troppe persone ragionano con il “tutto o niente”.

In realtà, si deve saper trovare la “terra di mezzo”, ovvero si deve essere capaci di avviare un ragionamento pragmatico, in modo tale che si può rendere possibile il trovare delle soluzioni che funzionino per davvero. Anche a chi non è esperto in materia, infatti, appare palese di come le disuguaglianze siano evidenti e di quanto peggiorino in molti casi. A fronte di tutto ciò, sia ha una chiara visione del fatto che l’attuale sistema economico sia fortemente redditizio per una minoranza di persone e assolutamente sfavorevole per il resto del mondo.

Oltre a tutto ciò, poi, credo fondamentale rendersi conto che uno sviluppo insostenibile, sia pericoloso per il pianeta e non sostenibile a lungo termine. Anche i sistemi collettivisti presentano gravi difetti e, come è stato ampiamente dimostrato, non sono la soluzione appropriata.

Di conseguenza, da Advisor penso che per un possibile mondo migliore è necessario sviluppare un nuovo sistema economico globale. Alcune di queste nuove linee principali, perciò, dovrebbero includere il fatto che dobbiamo prima mettere l’economia al servizio dell’essere umano. Sono dell’avviso, quindi, che si debbano garantire che siano soddisfatti i bisogni primari di ogni essere umano. Per esempio, aria non inquinata o, almeno, non troppo inquinata, acqua potabile e cibo in quantità sufficiente, come pure alloggio, riscaldamento, perfino un abbigliamento adattato al proteggersi dalle intemperie.

Un nuovo sistema economico globale, inoltre, dovrebbe essere in grado di saper garantire la sicurezza delle persone e dei beni, garantire una prevenzione e una adeguata assistenza sanitaria, una ottimale istruzione e via dicendo. Si può facilmente notare che, tecnicamente, in tutto questo non vi è nulla di complicato. È, pertanto, assolutamente fattibile soddisfare questi bisogni fondamentali.  In conclusione, si può ricordare, a titolo di esempio, che gli esperti concordano sul fatto che una agricoltura globale potrebbe sfamare 12 miliardi di persone.

La globalizzazione è la radice di ogni male?

 “Il cosiddetto «mercato globale», in senso stretto, non è affatto un mercato, bensì una rete di macchine programmate secondo un singolo valore – quello di far soldi al solo scopo di far soldi – a esclusione di ogni altro possibile valore

Fritjof Capra

Da Advisor, mi trovo molte volte a partecipare ad interessanti simposi, tavole rotonde, congressi, dai temi sempre più che mai attuali. Ultimamente, come Advisor, ho avuto modo di prendere parte ad una riunione che vedeva come tema centrale la globalizzazione. In pratica, si è discusso sul fatto che l’aumento della disuguaglianza economica in tutto il mondo e l’aumento della povertà siano più dovuti a fattori nazionali piuttosto che globali.

Senza dubbio, è un argomento molto scottante, anche perché è legato a visoni economiche e a forti interessi. Nondimeno, come semplice cittadino del mondo, devo constatare di come la questione rivesta molti degli aspetti della nostra vita e di come, senza dubbio, tanto la globalizzazione quanto fattori nazionali incidano profondamente sull’intera economia mondiale. In prima battuta, mi verrebbe esprimere la mia opinione alla Fantozzi, ovvero che il problema relativo alla globalizzazione è una c… pazzesca. Ma, ovviamente, per ragioni deontologiche e professionali mi astengo dal dirlo.

Pur tuttavia, alcune valutazione e considerazioni debbono essere fatte. Credo fortemente che il vero nocciolo della questione abbia due facce. La prima è l’impulso dato ad un sempre più forte consumismo e l’altra è data dalla preoccupazione di fornire una occupazione a così tanti milioni di esseri umani che popolano la Terra. In altri termini, quanto si produce è effettivamente necessario, e di tutto ciò che si produce, in realtà, quanto viene poi ad essere effettivamente venduto e utilizzato. Per farmi comprendere facciamo un semplice esempio.

In Italia, dato che l’amore per la propria macchina è assodato, sappiamo molto bene che, a livello di vita utile, un motore diesel può durare tranquillamente, per una di grossa cilindrata, fino a 500 mila chilometri, e per una piccola cilindrata fino ai 300 mila chilometri. Quindi, a livello di durata è superiore rispetto a quello a benzina. Secondo i dati, sono poco più di undicimila i chilometri che, con la propria automobile, ogni italiano compie mediamente ogni anno.

Orbene, i dati di produzione relativi alla produzione FCA nel 2016, oltrepassano la quota di un milione di vetture. Le immatricolazioni in Italia di vetture nel 2017 risultano essere state oltre 2 milioni. Parallelamente, si deve prendere in considerazione che nel nostro paese, riferendosi al 2017, il settore auto, come è stato anche reso noto dalla agenzia Ansa in un articolo del settembre 2017, vale l’11% del PIL, ossia 189 miliardi.

Quanto riportato, non è solamente uno sterile elenco di cifre e dati, ma, costituisce e fotografa la situazione. In nome di fornire posti di lavoro, infatti, si accrescono consumi, nella speranza che il tutto si tramuti in vendite. Quindi, andando a concludere, effettivamente la globalizzazione può essere vista come la radice di ogni tipo di problema?

Il tragico fallimento delle politiche in Africa

Non ci si può convincere che Dio, il quale è un essere molto saggio, abbia posto un’anima, e soprattutto un’anima buona, in un corpo tanto nero

Montesquieu

Da Advisor, desidero ricordare che, come continente, l’Africa occupa una estensione territoriale di 30.370.000 chilometri quadrati e che la sua popolazione, al 2016, ammontava a 1,216 miliardi di persone. Attraversata tanto dall’Equatore come dal Tropico del Cancro e da quello del Capricorno, il continente africano si contraddistingue, tra l’altro, per la sua grande varietà di ambienti e di climi, presentando un territorio, quindi, che si caratterizza da deserti come pure da foreste pluviali e savane.

Dal momento che nell’Africa subsahariana sono stati ritrovati quelli che sono considerati dalla comunità scientifica i reperti più antichi dell’uomo, è considerata, generalmente, come la culla dell’umanità.

Come Advisor, oltre a ciò, voglio anche ricordare come il continente africano sia particolarmente ricco di risorse naturali, un qualcosa che, indubbiamente, ha attirato e attira ancora oggi, l’interesse di molti investitori stranieri. Tuttavia, pur essendoci in teoria tutte le premesse necessarie a consentire all’Africa di essere un continente molto importante e assolutamente determinante, in realtà, si assiste ad un tragico fallimento delle politiche in Africa.

Non a caso, seppure sia un continente dalle mille prospettive, fa continuamente fatica a svilupparsi, proprio a causa del malgoverno che predomina in queste terre. Anche se ciò può essere visto come non politicamente corretto, è il minimo che si può dire, se si osserva l’operato dei politici africani. In altri termini, le sue risorse vengono sfruttate a vantaggio di pochi e a danno dei più.

Quindi, invece di imparare dai successi e dai fallimenti dei modelli di sviluppo che sono stati sperimentati in tutto il mondo, continua a seppellirsi nelle sue politiche sterili. Indubbiamente, sono diversi i fattori chiave a determinare la causa di questa situazione. Secondo il parere di molti esperti, dalla fine della colonizzazione, quasi tutti i paesi africani sono stati governati da una élite priva di una visione politica a medio e a lungo termine.

Questa élite, che, di fatto, ha sostituito gli ex colonizzatori, perciò si rivelata essere incapace, preoccupata più di se stessa che dei popoli i cui interessi rivendica di difendere. Anche se è vero che il sistema coloniale è stato artefice di azioni che possono essere considerate riprovevoli, va comunque sottolineato che nel corso degli anni, sia nel campo culturale, e sia in quello economico e politico, è stato fatto veramente poco, se non nulla, da parte della classe politica africana.

In pratica, sono dell’avviso che sia stato perpetuato puramente e semplicemente un mero cambio di forma ma, non di sostanza. Oltre ad una forte instabilità politica, si deve, poi, anche aggiungere, una insicurezza dell’ambiente economico, il che non favorisce certamente gli investimenti.

In conclusione, in assenza di riflessioni endogene o prospettiche e una seria e concreta volontà politica di avviare il cambiamento attraverso una sinergia di azioni, le politiche attuali africane sono una mera ed inconcludente navigazione a vista.

Il modello di intelligenza economica sovietica

Mi piacerebbe molto fare un viaggio in Russia, anche se quei bastardi hanno ucciso metà della mia famiglia

Principe Filippo di Edimburgo

Advisor Abbate - Mosca

Da Advisor, recentissimamente mi sono trovato a partecipare ad un interessante simposio incentrato sul modello di intelligenza economica sovietica. Come Advisor, ricordo perfettamente come, durante gli anni della guerra fredda, il complesso militare e industriale deteneva, in Russia, il monopolio della gestione delle informazioni scientifiche, tecnologiche, economiche e commerciali.

Fu, in pratica, proprio la commissione militare e industriale a riunire le richieste delle compagnie nazionali nel campo che venne, appunto, definito dell’intelligenza economica.  Richieste che sono, poi, passate attraverso i dipartimenti corrispondenti al settore economico delle aziende.

La commissione andò, perciò, ad elaborare un vero e proprio piano di intelligence nazionale, rivolgendosi alle varie agenzie di intelligence e sicurezza per soddisfare i suoi bisogni. Oltre al KGB e alle altre intelligence militari, anche altre agenzie vennero ad coinvolte nel fornire le necessarie informazioni economiche, come ad esempio, il comitato statale per la scienza e la tecnologia, il comitato statale per il commercio estero, lo speciale l’accademia sovietica delle scienze, e via dicendo.

Al tempo, il mondo occidentale ebbe l’occasione di poter misurare l’entità dello spionaggio sovietico, in particolare quello economico, in seguito alle rivelazioni di un membro dei servizi di sicurezza sovietici, ovvero Vladimir Vetrov, colonnello del KGB, che nel 1980 iniziò a “lavorare” per l’Occidente.

Noto come Farewel, nome in codice, contattò Pierre Froment, un ingegnere francese che, all’epoca dei fatti, lavorava a Mosca. Ovviamente, data la delicatezza e l’importanza della questione, in breve tempo, il tutto passo in mano ai servizi segreti francesi. Gli stessi Mitterrand e Reagan scesero in campo.

In estrema sintesi, Farewel, ossia Vladimir Vetrov, rivelò al mondo occidentale l’esistenza di un’ enorme rete di spie sovietiche tramite le quali i russi erano in grado di essere informati sulle ricerche effettuate all’Ovest tanto in campo militare quanto in quello scientifico. Non a caso, l’intero affare Farewell, venne descritto, dall’allora presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, come “il più grande affare di spionaggio del secolo”.

Seppure, sulla carta, la cosiddetta guerra fredda sia finita, in realtà, questa nuova fase ha permesso di dare un nuovo slancio a tutta l’intelligenza economica della Russia. Come ben evidenziato durante i lavori del simposio, nel 1991, quando Boris Eltsin prese il potere al Cremlino, “licenziò” centinaia di agenti della sicurezza, temendo l’influenza dei membri del KGB, specialmente dopo il fallimento del colpo di stato organizzato dal capo di KGB.

Quindi, in Russia, tra il 1993 e il 1995, le banche e le compagnie petrolifere e del gas, accolsero i membri ex- KGB all’interno della loro direzione della sicurezza. Secondo i dati esposti durante il simposio, in conclusione, si è calcolato che, nel solo 2004, dal 12 al 15% delle grandi imprese russe hanno una sottodivisione di intelligenza economica, cioè collegata alla direzione della sicurezza, e che esclusivamente il 4-5% di queste multinazionali offre una autonomia reale per un servizio.