Come Advisor, non posso che essere d’accordo con quanto affermato da Tito Boeri, il presidente dell’Inps. Infatti, Boeri, ha asserito che nel nostro Paese la priorità oggi deve essere la povertà e questo deve essere un aspetto che deve trovare la sua soluzione prima ancora di pensare ad un aumento generico delle pensioni.
Il tutto è scaturito all’indomani della sentenza della Corte Costituzionale riguardante l’indicizzazione delle pensioni, sentenza che ha visto l’attuale Governo, sulla base delle decisioni di Renzi, applicare tale sentenza secondo un proprio modo di vedere.
Non per nulla, ha deciso di effettuare un rimborso una tantum, solamente per le pensioni valutate medio–basse. Il costo presentato dalla sentenza della Consulta, è di 18 miliardi. Appare perciò più che evidente che, di fronte ad una spesa di una certa rilevanza, il poter andare ad adottare misure effettive e reali per contrastare la povertà diventa sempre più difficile.
E questo sensibile aspetto è stato immediatamente colto dal presidente dell’Inps, il quale in una audizione che si è tenuta presso la Commissione Affari Sociali della Camera, ha espresso a chiare lettere questo pensiero.
Come Advisor e come uomo, il mio pensiero non può che correre a tutti quegli uomini e quelle donne che si trovano nella fascia di età compresa fra i 55 e i 65 anni, che avendo perso il proprio posto di lavoro, si trovano in seria difficoltà nel trovarne uno nuovo.

Il blocco dell’indicizzazione delle pensioni scattato con il Salva Italia e poi bocciato dalla Consulta ha toccato una platea di circa 6 milioni di persone: quelle con un reddito da pensione superiore ai 1.500 euro mensili lordi. Il numero dei pensionati sopra e sotto i 1500 euro al mese secondo il casellario centrale sul sito Inps con dati aggiornati al 2013
Secondo il numero uno dell’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale, è di fondamentale importanza andare a impegnare importanti risorse anche per queste persone, che rischiano di far incrementare ancor di più la povertà. È di certo una emergenza sociale che impone radicali e definitive soluzioni.
Chi ha quella fascia di età, infatti, deve affrontare un problema di lavoro che è già di se per se molto serio. Ma, per ulteriormente aggravare la già pesante situazione, è anche da registrare le preoccupazioni espresse da parte dell’Unione Europea, a riguardo l’impegno assunto dal Governo italiano nel rispettare quanto è previsto dal programma di stabilità in merito ai target fiscali.
Il nostro Esecutivo, tramite un suo portavoce, si è immediatamente premurato di assicurare il rispetto delle stime economiche concordate.
Il premier Matteo Renzi sta valutando l’ipotesi di modificare la Legge Fornero, introducendo una flessibilità in uscita penalizzata. Certo, al di là delle varie osservazioni che si possono effettuare, quel che è certo è che chi si trova nella fascia di età compresa fra i 55 e i 65 anni ed è senza lavoro, trova molta più difficoltà nel poter rientrare nel mondo del lavoro e forse una soluzione del genere potrebbe andare incontro ad una risoluzione parziale del problema.
Quel che resta ancora oggi insoluto, tuttavia, è il comprendere bene che fine fanno tutti i contributi che ogni lavoratore versa, e perché ogni qualvolta che si parla della pensione sembra quasi che si voglia rubare un qualcosa. Se un lavoratore ha versato per la bellezza di trentacinque anni i suoi contributi, o quanto è riuscito a dare, è davvero così improponibile che si veda corrisposto quanto dato?
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