In economia quanto vale il prevedere per prevenire?

Vedere per prevedere, prevedere per provvedere

Auguste Comte

Un antico e saggio detto popolare recita testualmente: “prevenire è meglio che curare”. Da Advisor, tuttavia, reputo che in economia non sia così semplice e facile il prevenire. Mi spiego meglio.

Se nel campo medico vi sono situazioni che fotografano chiaramente come una determinata condizione possa portare a delle malattie, in economia il panorama non è sempre così limpido. Per esempio, basta semplicemente che in un determinato paese venga promossa una maggiore austerità fiscale, un evento non sempre così lapalissiano, per mandare a monte ogni possibile previsione economica globale.

In pratica, basta solamente che un governo, magari sull’onda della emotività popolare, decida che politicamente sia meglio imporre una determinata austerità fiscale nei confronti di una determinata classe sociale, per far in modo e maniera che l’economia mondiale rimanga scossa.

In campo medico, pur nonostante le difficoltà oggettive, la questione è ben diversa, dato che le prese di decisione non vanno ad influenzare nessun altro paese. In economia, invece, entra in gioco una così vasta e complessa situazione che, alle volte, lascia gli anche gli stessi economisti basiti. Tuttavia, il concetto di prevedere per prevenire anche nella difficile materia economica ha la sua rilevanza.

Se, per esempio, si riesce a prevedere un concreto sviluppo economico, diventa vitale prevedere la sua velocità per stabilire di quanto potrà effettivamente aumentare la produttività. Un evento che, tra l’altro, influirà tanto nei salari reali quanto nelle condizioni di vita di tutti.

In sostanza, in economia le scoperte inquietanti, la vulnerabilità stessa della materia, sono tutti aspetti che si possono sempre incontrare e che, indiscutibilmente, sarebbe molto meglio saper prevedere.

Non a caso, da Advisor, sono sempre del parere che ogni domanda in economia deve essere anche intesa come un segnale di allarme.

Prendiamo ad esempio le previsioni economiche per il 2018. Oltre che congratularsi per un certo miglioramento complessivo, c’è da domandarsi quanto questo sia solido. Ossia, seppure vi sia stato un tangibile miglioramento della situazione globale, comunque rimane meno vigoroso rispetto alle precedenti previsioni.

Di fatto, se un recupero vi è stato, questo non corrisponde a quello che il mercato economico globale si aspettava. A riprova, è sufficiente osservare come i Paesi emergenti hanno avuto dei tassi di crescita più bassi rispetto al passato.

Un risultato, che reputo personalmente preoccupante, in quanto questi Stati svolgono un ruolo di primo piano nell’economia globale e sono lontani dall’aver completato il loro processo di recupero. In altre parole, la pesante eredità della crisi non è del tutto scomparsa.

Considero che il livello degli investimenti rimanga insufficiente, così come lo è la crescita degli scambi.  Punti deboli che accelerano il calo della produttività a livello globale. Come pure, in conclusione, valuto il cosiddetto miglioramento sul fronte dell’occupazione per nulla uniforme, un qualcosa che varia, non solo, a secondo i vari Paesi, ma, persino all’interno delle loro stesse regioni.

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