Il principio della capacità contributiva, che fine ha fatto?

In questo Paese le leggi sono così numerose che per ogni questione dovete rivolgervi ad uno specialista e pagare; quindi voi pagate le tasse affinché lo Stato faccia delle leggi che vi impongono di rivolgervi a dei professionisti e pagare di nuovo

Carl William Brown

Anche se da Advisor mi rattrista, l’Italia, ahimè, resta pur sempre una singolare e mera espressione geografica in mano a dei veri e propri incompetenti, per non dire altro.

Infatti, basta semplicemente rifarsi al famoso articolo 53 della nostra Costituzione, ovvero quello che tratta il principio della capacità contributiva. In pratica, questo articolo testualmente asserisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Ora, al di là della mia professione di Advisor, reputo che tutto sommato, anche chi non ha fatto o intrapreso specifici studi o incarichi economici possa comprendere in tutto e per tutto il significato letterale di quanto esposto. Tutto chiaro? No, assolutamente no.

Infatti, “Un popolo di poeti di artisti di eroi, di santi di pensatori di scienziati, di navigatori di trasmigratori” e di azzeccagarbugli, aggiungo io, riesce in un compito non facile, ovvero stravolgere perfino quello che è molto chiaro. In Italia si può fare bellamente questo e altro ancora.

Di fatto, quello che era un concetto sinteticamente chiaro, nel tempo, è stato adattato alle vili esigenze e agli sporchi interessi di servili economisti e potentati politici. Un fulgido esempio di questo affannoso affare è dato dalla sentenza numero 155 emessa dalla Corte Costituzionale, la quale testualmente recita: “La capacità contributiva non presuppone l’esistenza necessariamente di un reddito o di un reddito nuovo, ma è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione, in termini di forza e consistenza economica dei contribuenti o di loro disponibilità monetarie attuali, quali indici concreti di situazione economica degli stessi contribuenti”.

E se non fosse ancora sufficiente chiaro la mistificazione in atto, riporto in forma diretta, quello che nel 2001 sempre la Corte Costituzionale, ha stabilito con la Legge numero 156: “Rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale”.

A dirla come nel mitico film “Amici miei” la “supercazzola” è davvero sempre attuale. Grazie a tutto ciò, la Corte Costituzionale, di fatto, è riuscita a smontare tutta la sostanza del concetto costituzionale previsto nel suo articolo 53, cancellando la nozione stessa di capacità contributiva.

Quindi, di conseguenza, grazie a questo bizantinismo, la Corte Costituzionale, ha lasciato al legislatore assoluto campo libero, il che, sostanzialmente, significa che può fare tutti i suoi comodi, come pure, all’abbisogna, imporre al popolo italiano qualsiasi tipo di balzello che gli passa per la mente.

In conclusione, con viva e vibrante insoddisfazione, annuncio la dipartita di quello che in origine era esposto in questo articolo 53, ossia: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

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