La pensione sociale: una solidarietà oppure una azione per ottenere consensi politici?

Quando alcune persone vanno in pensione, diventa difficile notare la differenza

Virginia Graham

La pensione sociale è, sicuramente, un argomento, non molto popolare. Nessun essere sensiente è, per principio, contrario ad uno stato sociale. Pur tuttavia, quando la solidarietà diventa un potente mezzo politico a danno della collettività, non è strano che qualche dissidio possa sorgere. Come Advisor, ben lontano da voler sollevare polemiche, registro come la delicata questione legata alla la pensione sociale, sia un aspetto economicamente importante.

Indubbiamente, da Advisor, so perfettamente che le pensioni sono un vero e proprio universo, dato che in esse confluiscono una infinità di modalità di erogazioni. Quella più nota, ovviamente, è la pensione che viene ad essere versata a seguito del versamento di contribuiti.

Ma oltre a questa formula, vi sono gli assegni di invalidità, le pensioni minime e quelle sociali. Secondo i dati forniti dall’INPS e aggiornati al novembre del 2017, per le pensioni di genere vario, nel solo 2016, l’INPS ha pagato 307 miliardi. Un dato che include, quindi, anche soggetti i quali non hanno versato alcun contributo e che, di conseguenza, sono a carico totale della fiscalità generale.

La storia tramanda che nel 1969 venne ad essere introdotta la pensione sociale, la quale venne ad essere erogata dall’INPS, ente creato da Benito Mussolini nel 1933. A partire dal 1° gennaio del 1996, la pensione sociale è stata sostituita dall’assegno sociale. Ma al di là della paternità della sua istituzione e delle correlate motivazioni, dopo così tanto tempo, forse, la domanda giusta da porsi è perché si debbano ancora erogare gli assegni sociali, alias pensioni sociali.

Difatti, alla base della questione, è, se l’assegno sociale è una prestazione economica che viene ad essere erogata a domanda a favore di quei cittadini che si trovano in particolari disagiate condizioni economiche, come è possibile che si arrivati all’età di 66 anni e non avere una condizione economica adeguata? Tutto ciò, infatti, può far insorgere un piccolo sospetto.

In pratica, a pensare male, si potrebbe anche ipotizzare che fino al raggiungimento dell’età per la quale è possibile richiedere l’assegno sociale, si sia, effettivamente, poco o per nulla pensato alla vecchiaia. Ossia, si sia lavorato in nero e, quindi, non si siano versati i contributi e, addirittura, non si siano pagate le tasse.

In effetti, salvo le doverose e possibili situazioni, oggi come oggi, è davvero difficile credere che si sia “campato”, più o meno, senza una condizione economica adeguata! Oltre a ciò, non è certamente difficile ipotizzare che tale strumento sia stato una sorta di “incentivo” a favore di certi partiti politici. In altre parole, la pensione sociale o, meglio, l’assegno sociale, è divenuto un potente mezzo per assicurarsi voti.

A titolo di cronaca, è da ricordare che la cifra dell’assegno sociale è di 453 euro per tredici mensilità. Certo, a prima vista può sembrare un qualcosa di poco conto ma, se si analizza la questione sotto ogni punto di vista, si comprende bene che diventa un qualcosa di molto oneroso per la collettività, visto che tale cifra è corrisposta a chi non ha mai versato alcun contributo in tutta la sua vita lavorativa.

In conclusione, voglio rammentare che tanto i cittadini comunitari quanto extra-comunitari quelli in possesso della carta di soggiorno e risultanti essere residenti in Italia, sono equiparati a quelli italiani anche per quello riguarda l’erogazione dell’assegno sociale.

Ius soli: il turismo delle nascite negli Stati Uniti

La partecipazione del prossimo alla nostra sorte è un’alternanza di gioia maligna, invadenza e saccenteria

Arthur Schnitzler

Ora, senza voler fare delle sterili polemiche, reputo, da Advisor, che il governo italiano più che a pensare allo Ius soli, farebbe molto meglio ad occuparsi dei problemi che interessano realmente molto di più i propri cittadini. Eppure, sembra che questo Ius soli sia il principale problema a cui si deve trovare una effettiva soluzione.

Problemi, ad esempio, come la Sanità, l’Istruzione, il Lavoro, l’Economia e via dicendo, quindi, per i governati italiani sono, per dirla alla Totò, semplice “quisquilie e pinzillacchere”.

Ma dato che se ne parla tanto, vediamo cosa succede in paesi come gli Stati Uniti, ove è prolificato in maniera esponenziale il fenomeno del turismo delle nascite. Come Advisor, voglio ricordare che, al pari del secondo emendamento con il quale si “garantisce il diritto di possedere armi”, il quattordicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, prevede che “qualsiasi bambino che si trova a nascere nel suo territorio acquisisce la cittadinanza americana”.

Per comprendere la portata, ci si deve rammentare che negli Stati Uniti d’America, la Costituzione, seppure risalente al 1787, è considerata la suprema legge.

Ora, per tornare alla questione Ius soli, facciamo un semplice raffronto che mette, molto chiaramente, in evidenza quale possa essere l’impatto in Italia. Per meglio ancora evidenziare la disparità, prendiamo in considerazione un delizioso borgo molisano posto a ottocento metri in provincia di Isernia, Sant’Elena Sannita.

Orbene qui vivono, secondo i dati risalenti al 2016, 268 abitanti su un territorio che ha una superficie pari a poco più di 14 chilometri quadrati. Il che, vuol dire che ha una densità di circa 19 abitanti per chilometro quadrato. Ebbene, la densità abitativa degli Stati Uniti d’America è di 34 abitanti per chilometro quadrato, in un territorio di 9.372.614 chilometri quadrati ove vivono, secondo dati del 2016, 325.127.000 abitanti. Quindi, a Sant’Elena Sannita – in provincia di Isernia – vi sono 19 abitanti per chilometro quadrato, mentre negli Stati Uniti d’America vi sono 34 abitanti per chilometro quadrato.

Ora, se si pensa che la differenza di abitanti per chilometro è di 15, non si può non osservare la disparità esistente tra un territorio di appena 14 chilometri quadrati e quello di un territorio che ha una superficie complessiva di 9.372.614 chilometri quadrati. Forse, è il caso di ricordarsi che negli Stati Uniti vi sono sei fusi orari diversi, il che conferma ulteriormente la sua continentale espansione.

In Italia, nel 2016, eravamo già 60.532.325, con, quindi, una densità abitativa di oltre 200 abitanti per chilometro quadrato. In poche parole, oltre che non essere palesemente in grado di garantire un vivere civile alla già attuale popolazione italiana, il governo come pensa di sopportare il peso derivante da tutti quelli che possono richiedere lo Ius soli?

Ma non solo. I nostri governanti, sono informati del fatto che negli Stati Uniti, per via di quanto previsto dal quattordicesimo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti, portare lì a partorire è divenuto un becero business e fonte di una incredibile sfilza di problemi?

Perfino il Wall Street Journal ha evidenziato come tale fenomeno ha avuto forti impatti, in particolare sulla economia del sud California.

In conclusione, invece che pensare allo Ius soli, non sarebbe, forse il caso, di pensare un po’ più seriamente ai cittadini italiani?

L’effetto Donald John Trump

Facciamo tornare grande l’America. Liberiamoci dai politici idioti!”

Donald Trump

Chi sia, come la pensa e cosa abbia fatto in tutta la sua vita Donald John Trump è cosa arcinota, e se è stato eletto un perché ci sarà.  Personalmente, non ho un giudizio preconcetto sulla figura di Donald John Trump e, questo, non perché non voglia schierarmi, ma, solamente perché come Advisor lo vedo esclusivamente come il quarantacinquesimo presidente degli Stati Uniti d’America.

Per me, gli USA sono la raffigurazione della democrazia, un concetto che alle volte in Europa si tende a dimenticare. Francia e Inghilterra, loro malgrado, si sono scordate che senza l’appoggio economico e militare degli Stati Uniti d’America erano nazione sconfitte da quella Germania che oggi è la locomotiva dell’economia europea.

Come Advisor odio quando la storia viene ad essere piegata e utilizzata ai meri fini politici. Vi è un punto cruciale, per il quale, poi, le vicissitudini e l’influenza delle nazioni europee vengono ad essere completamente rivoluzionate e quel punto è rappresentato dalla conferenza di pace che si tenne a Parigi nel 1919. In primo luogo si assiste, per la prima volta in assoluto, alla presenza di un presidente degli Stati Uniti d’America in affari e politiche che riguardavano i paesi dell’Europa.

Da quel momento in poi, gli USA, di fatto, assumono un ruolo determinante nelle questioni dell’Europa. Non a caso, il vero protagonista fu Woodrow Wilson. Chi, invece, come loro abitudine, non aveva capito ancora nulla era proprio la Francia. Già umiliata nel 1870, venne travolta anche nel primo conflitto mondiale, dimostrando, al mondo intero, una inconsistenza incredibile.

Ma la spocchia e l’arroganza tipica francese, vide la sua apoteosi proprio durante i lavori alla conferenza di pace a Parigi. Raymond Poincaré, l’allora presidente francese, dichiarò a Wilson che la Germania doveva essere punita. Altra grave colpa è quella che determinò lo stravolgimento dell’intera cartina geografica dell’Europa.

Tanto i francesi quanto gli inglesi, quindi, gettarono loro stessi i semi malefici che maturarono pochi anni dopo, dando vita all’ultimo conflitto. Ma, anche qui, entrambi i paesi, reputandosi i più importanti e i più forti, ebbero un comportamento più che ambiguo nei confronti della Germania. Esempio lampante è racchiuso nella dichiarazione congiunta fatta dalla Francia e Gran Bretagna, con la quale dichiaravano che erano i garanti dell’integrità e dell’indipendenza della Polonia, difendendola da eventuali aggressori.

Peccato, poi, che si siano dimenticati della piccola questione di Danzica. Ma, non è tutto. Infatti, quando il primo di settembre del 1939 le truppe tedesche varcarono il confine polacco, il 3 di settembre Inghilterra e Francia dichiarano sì guerra alla Germania, mentre, quando il 17 settembre del 1939 la Russia penetrò in territorio polacco, non fecero assolutamente nulla.

Le conseguenze di tutto ciò, hanno fatto sì che Francia e Inghilterra, per cercare di arginare la Germania si sono vendute agli Stati Uniti d’America, perdendo, inoltre, il controllo di tutte le colonie sparse ai quattro angoli del globo. Quindi, forse, prima di giudicare Donald John Trump, sarebbe proprio il caso di ricordarsi degli scheletri conservati nei propri armadi.

Che possa piacere o meno, è un presidente che è stato eletto in un paese democratico, in un paese che ha fatto come propria bandiera la dichiarazione d’indipendenza.

In conclusione, è da ricordare che pochi avrebbero scommesso sulla sua vittoria, e questo ha dato molto fastidio alla classe politica tanto repubblicana quanto democratica, come pure è da sottolineare che tutta la campagna elettorale di Trump si è basata su concetti ben espressi come idee isolazioniste e liberal conservatrici, pertanto nulla di misterioso o di poco chiaro.

L’Occidente, l’Islam e le insanabili fratture

L’Europa sanguina per le atroci stragi avvenute in Francia, in Spagna, in Germania. Terrorismo che sta toccando anche aree notoriamente cosmopolite ed aperte alle realtà multietniche quali Barcellona. Da Advisor sono profondamente colpito, così come tutti coloro che assistono sgomenti all’evolversi della situazione. Eventi tristissimi e brutali che minano non solo la popolazione, ma anche il tessuto economico dei paesi che vivono di turismo.

C’è chi afferma che si corre il rischio di abituarsi a questo stato di cose, ma personalmente sono convinto che non si potrebbe mai convivere con l’idea che si esce di casa per andare al lavoro, a scuola o a fare una passeggiata e non farvi più ritorno perché vittima di un furgone killer o di una bomba.

Quale Advisor so quanto sia importante il dialogo e il comprendere le culture, ma questo deve essere un qualcosa non a senso unico. La situazione attuale e anche fatti avvenuti in passato mi portano a fare delle riflessioni. Una delle cose di cui non riesco proprio a farmene una ragione è il fatto che vi sia una sorta di sudditanza da parte dell’Occidente nei confronti del mondo islamico.

Vi sono pesi e misure diverse e c’è chi taccia come “nemico” il popolo d’Israele seppure mai si sia macchiato di orribili stragi. Ed è cosa ben risaputa che i vari terroristi che stanno seminando la morte e la distruzione non sono certo appartenenti al popolo ebreo. In occidente è cosa quasi quotidiana vedere manifestazioni contro lo Stato d’Israele se questo reagisce dopo che si è verificato un vile attentato che ha fatto strage di persone inermi come le donne, i bimbi, e gli anziani. Vi sono di fatto due pesi e due misure.

Ed intendo dire con ciò che quanto qualcuno in nome dell’Islam fa saltare in aria e provoca un’ecatombe, l’Occidente, passato il momento, chiude un occhio; mentre chi come Israele compie delle rappresaglie a buon ragione viene subissato di critiche e viene condannato senza mezze misure. La storia parla chiaro: gli ebrei hanno voluto creare uno Stato nel quale poter vivere in pace, ma questo venne ostacolato prima gli inglesi e quindi dai rimanenti Paesi mussulmani i quali tentarono di tutto pur di sbarrare il passo agli ebrei che stavano giungendo via mare.

È il caso di ricordare come la Germania venne condannata per quanto fece nei confronti degli Ebrei, però nessuno – e vorrei tanto che qualcuno fosse in grado di smentirmi – ha mai hai condannato per i feroci crimini di guerra commessi anche nei confronti degli ebrei la Russia di Stalin. Sarebbe sbagliato affermare che tutto ciò appartiene al passato (peraltro recente), in quanto è il passato che crea la realtà odierna.

Migranti, c’è del marcio tra le ONG?

La maturità inizia a manifestarsi quando sentiamo che è più grande la nostra preoccupazione per gli altri che non per noi stessi

Albert Einstein

ONG: ossia le Organizzazione Non Governativa, ovvero organizzazioni che operano in maniera indipendente senza dover rispondere a nessun tipo di governo.

Ma tra le altre cose, ONG vuol dire anche contatti sospetti, fumosi finanziatori e numerose navi che sono costantemente presenti nel Mar Mediterraneo e che, con un metodo ben collaudato, segnalano indisturbate la loro presenza alle navi dei clandestini dirette verso l’Italia, altrimenti dette boat people secondo la dizione buonista che va tanto di moda. In pratica, è un universo tanto dinamico quanto poliedrico.

Il recente sequestro della nave Iuventa deve far riflettere e far risuonare un campanello di allarme.

Da Advisor mi domando spesso il perché e il per come appena si accenna al fatto che dietro a molte ONG vi siano interessi economici, si assiste ad una alzata di scudi in loro difesa. Eppure, è la cronaca che mette in luce che tanto in uno Stato quanto tra chi si occupa di Legge e Ordine vi sono delle mele marce.

Perfino il campo religioso non è avulso a fatti criminali. Eppure, sembra quasi che le ONG non siano fatte da uomini e, perciò, corruttibili e corruttori.

Da Advisor, poi, non posso non “ammirare” l’alquanto beffarda linea di confine esistente tra il fatto che queste Organizzazioni Non Governative, come anche altri enti, risultino essere delle organizzazioni senza fini di lucro, quando, poi, nella realtà sono finanziate da donazioni.

Certo, so perfettamente che cosa significhi lucrare e, proprio per questo, reputo che utilizzarlo per enti che prendono soldi in nome di un volontariato sia scorretto. Chiarisco il punto. Il fare beneficenza significa o mettere mano al portafoglio e donare direttamente a chi ne ha bisogno, oppure dare il contributo economico a chi lo andrà a gestire per portare aiuto. Questo non solo è normale, ma è più che accettabile.

Quello che proprio non mi va giù è il voler a tutti i costi ammantare questa transazione economica a fin di bene con un falso velo di quasi santità. Reputo iniquo abbinare a questo il termine senza fini di lucro, anche perché non è propriamente corrispondente al vero.

Infatti, chi paga le sedi, i mezzi, insomma tutto quello che serve a queste ONG?

Ma se il termine senza fini di lucro è una mera facciata, lo è ancor di più la parola volontario. Se da un punto sintetico il significato lessicale potrebbe essere riassunto come “persona che presta la sua opera di propria volontà”, da un punto di vista dell’immaginario collettivo il volontario è visto come una sorta di San Francesco oppure di San Martino di Tours, quello che fece dono della metà del suo ricco mantello ad un povero.

Si ha, quindi, anche in questo caso, una immagine poetica che, tuttavia, non corrisponde alle realtà dei fatti. A prova di ciò, invito a leggere quanto è chiaramente esposto nel sito del Dipartimento della Gioventù e del Servizio Civile Nazionale a riguardo il trattamento economico dei volontari.

Allora, vorrei tanto che la facciata corrispondesse al suo contenuto e, di conseguenza, tanto le ONG quanto i cosiddetti volontari venissero inquadrati non come dei santi, ma come esseri mortali e, perciò, fallaci.

Non rimaniamo, pertanto, stupefatti nello scoprire che anche queste organizzazioni beneficiano economicamente di tutto il movimento di clandestini provenienti, per lo più, dalle coste della Libia.

Per concludere, voglio ricordare le parole di John Fitzgerald Kennedy: “Non chiederti cosa il tuo paese può fare per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”.

La disoccupazione giovanile e le implicazioni economiche

Il peggior mestiere è quello di non averne alcuno

Cesare Cantù

Come Advisor reputo che alla base di una sana economia vi sia un corretto ricambio generazionale. Ogni paese, infatti, ha assoluta necessità di forze nuove e fresche per prosperare anche in campo economico. Di conseguenza, i giovani devono essere visti come il futuro di una nazione.

Questo per l’Italia è un qualcosa di totalmente ignorato e scarsamente valorizzato e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il dramma della follia e che il Paese Italia è governato da una classe politica che è stata in grado di creare un assurdo ciclo vizioso. Non per nulla, da una parte si è allungata l’età pensionabile e dall’altra si è andato a precludere un naturale ricambio generazionale.

In pratica si è pensato di costringere i lavoratori ad andare in pensione a quasi settant’anni e, nel contempo, di precludere ai giovani di accedere in maniera definitiva nel mondo del lavoro.

Da Advisor, reputo che tutto ciò sia estremamente pericoloso. Non si può, infatti, non osservare come il tutto abbia creato una futura generazione intrisa di dubbi e, per molti versi, di disperazione unitamente a tutta una popolazione di lavoratori che vorrebbe, finalmente, tirare il fiato.

In questo disastroso e disastrato panorama emerge, chiaramente, la totale incapacità della politica italiana, il frutto di governi non votati dal popolo che, tuttavia, hanno così profondamente inciso sulla vita dei suoi cittadini.

Per affondare volutamente il dito nella piaga, si deve mettere anche in risalto la mancanza di congruenza tra una formazione e il mondo del lavoro.

Infatti, anche sulla preparazione scolastica e universitaria vi sarebbe molto da dire. Non a caso, questo aspetto incide notevolmente sulla problematica della disoccupazione giovanile, con le ovvie implicazioni economiche.

Recentemente ho avuto l’occasione di partecipare ad un convegno incentrato proprio su questo aspetto.

Orbene, ho sentito che meno della metà dei datori di lavoro rimane soddisfatta del livello di preparazione dei loro dipendenti e che molti hanno ancora posti vacanti dato che non sono riusciti a reclutare qualcuno con le giuste competenze.

In particolare. Mi ha profondamente colpito il fatto che quasi tutti i possibili datori di lavoro si riferivano ad una forte carenza di competenze soft skills, ossia di quelle competenze trasversali che evidenziano le qualità personali quali, ad esempio, l’atteggiamento e l’etica nel lavoro, la comunicazione orale e le relazioni interpersonali. Di fatto, non vedono una capacità di essere dei veri leader. La transizione tra studio e lavoro è delicata.

Una volta che i giovani hanno in mano un diploma oppure una laurea debbono confrontarsi con la rigida regolamentazione del mercato senza avere, effettivamente, la più che pallida idea di quali siano le regole. Alla fine, il tutto si tramuta in una assurda lotta per trovare un lavoro, il che non fa altro che accentuare ulteriormente le difficoltà dei giovani.

In conclusione, sono dell’opinione che da un lato le università devono promuovere studi più modulati all’esigenze del mondo del lavoro formando non solo professionalmente, ma anche praticamente le future generazioni e dall’altro le aziende devono comprendere maggiormente il loro ruolo di transizione professionale. Peccato che di mezzo vi è una classe politica tutt’altro che capace.

Il principio della capacità contributiva, che fine ha fatto?

In questo Paese le leggi sono così numerose che per ogni questione dovete rivolgervi ad uno specialista e pagare; quindi voi pagate le tasse affinché lo Stato faccia delle leggi che vi impongono di rivolgervi a dei professionisti e pagare di nuovo

Carl William Brown

Anche se da Advisor mi rattrista, l’Italia, ahimè, resta pur sempre una singolare e mera espressione geografica in mano a dei veri e propri incompetenti, per non dire altro.

Infatti, basta semplicemente rifarsi al famoso articolo 53 della nostra Costituzione, ovvero quello che tratta il principio della capacità contributiva. In pratica, questo articolo testualmente asserisce che “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

Ora, al di là della mia professione di Advisor, reputo che tutto sommato, anche chi non ha fatto o intrapreso specifici studi o incarichi economici possa comprendere in tutto e per tutto il significato letterale di quanto esposto. Tutto chiaro? No, assolutamente no.

Infatti, “Un popolo di poeti di artisti di eroi, di santi di pensatori di scienziati, di navigatori di trasmigratori” e di azzeccagarbugli, aggiungo io, riesce in un compito non facile, ovvero stravolgere perfino quello che è molto chiaro. In Italia si può fare bellamente questo e altro ancora.

Di fatto, quello che era un concetto sinteticamente chiaro, nel tempo, è stato adattato alle vili esigenze e agli sporchi interessi di servili economisti e potentati politici. Un fulgido esempio di questo affannoso affare è dato dalla sentenza numero 155 emessa dalla Corte Costituzionale, la quale testualmente recita: “La capacità contributiva non presuppone l’esistenza necessariamente di un reddito o di un reddito nuovo, ma è sufficiente che vi sia un collegamento tra prestazione imposta e presupposti economici presi in considerazione, in termini di forza e consistenza economica dei contribuenti o di loro disponibilità monetarie attuali, quali indici concreti di situazione economica degli stessi contribuenti”.

E se non fosse ancora sufficiente chiaro la mistificazione in atto, riporto in forma diretta, quello che nel 2001 sempre la Corte Costituzionale, ha stabilito con la Legge numero 156: “Rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale”.

A dirla come nel mitico film “Amici miei” la “supercazzola” è davvero sempre attuale. Grazie a tutto ciò, la Corte Costituzionale, di fatto, è riuscita a smontare tutta la sostanza del concetto costituzionale previsto nel suo articolo 53, cancellando la nozione stessa di capacità contributiva.

Quindi, di conseguenza, grazie a questo bizantinismo, la Corte Costituzionale, ha lasciato al legislatore assoluto campo libero, il che, sostanzialmente, significa che può fare tutti i suoi comodi, come pure, all’abbisogna, imporre al popolo italiano qualsiasi tipo di balzello che gli passa per la mente.

In conclusione, con viva e vibrante insoddisfazione, annuncio la dipartita di quello che in origine era esposto in questo articolo 53, ossia: “Tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema tributario è informato a criteri di progressività”.

I motivi per cui l’economia manca di umanità

L’uomo è la specie più folle: venera un Dio invisibile e distrugge una Natura visibile. Senza rendersi conto che la Natura che sta distruggendo è quel Dio che sta venerando

Hubert Reeves

Non esiste alcun capitale naturale. Non per nulla, da Advisor, reputo che il mondo sia entrato nell’antropogene. Di fatto, siamo oggi un grande mondo su un piccolo pianeta dove l’economia esercita una pressione fenomenale sulla Terra. Il problema è che il nostro sistema economico è stato sviluppato, da Adam Smith a John Maynard Keynes, quando, appunto eravamo ancora un piccolo mondo su un grande pianeta.

Come Advisor ho osservato che pur non essendoci frontiere economiche, l’economia globale su questo pianeta è ancora vista come un qualcosa di ridicolo. Non per nulla, si possono emettere liberamente gas serra come pure continuare ad inquinare gli oceani e le regioni polari.

Si è pensato stupidamente, quindi, che tutto ciò alla fine non avesse alcuna ripercussione economica. Ma oggi, la Terra presenta una salatissima fattura. Il buco dell’ozono, il crollo nelle attività di pesca, il fondersi del ghiaccio, le onde di calore, eventi già denunciati negli Anni Ottanta, sono diventanti alcuni aspetti drammaticamente evidenti. Pur tuttavia, anche in presenza di una situazione che evidentemente non funzionale, raramente, gli inquinatori sono inquisiti come colpevoli.

Nonostante il riconoscimento che qualcosa non vada come dovrebbe, la tragedia continua e noi siamo le vittime.

Vi è da dire che l’economia non ha assolutamente tratto alcun tipo di insegnamento ma, anzi, resta bloccata in questa situazione. Al di là di proclami e di protocolli di scarso valore, si resta incapaci nel prendere le dovute decisioni.

Pare che la gran parte degli economisti e della classe politica mondiale, sia incapace di vedere le situazioni reali. Reputo che il fine ultimo di una moderna economia non sia esclusivamente quello di una monetizzazione del tutto senza rendersi conto delle conseguenze. Se è vero che si deve pagare un prezzo globale, è altrettanto giusto valorizzare la salvaguardia degli eco sistemi. Certo, non è facile, ma, tuttavia è possibile.

Se pensiamo che la Terra sia una gallina capace di produrre delle uova d’oro, allora sarà bene pensare di più alla sua salute se non si ha intenzione di ucciderla. Accettare che il regno dell’economia lasci un indelebile segno è da folli. Qui non è tanto una questione di etica o di giustizia ma, di vera e propria sopravvivenza.

Nessun catastrofismo, quindi, ma una semplice, fredda e analitica constatazione dei fatti. Se è necessario che vi sia una ennesima rivoluzione industriale, allora, è proprio il caso di non indugiare ancora per molto tempo. Lo sviluppo economico mondiale ha assoluta necessità di una forte leadership politica, dato che da soli i mercati non possono fare nulla.

Mi farebbe piacere sapere quanti leader mondiali siano effettivamente a conoscenza della resistenza ambientale. Credo vivamente che la resilienza sia arrivata al limite. È sbagliato osservare, ancora, esclusivamente se gli impatti siano o meno limitati. Sono secoli che attacchiamo la nostra atmosfera, la nostra biodiversità, scaricando gas ad effetto serra e inquinando le fonti primarie di sopravvivenza.

Quello che non si vuole capire è che abbiamo messo in moto un sistema in grado di provocare eventi irreversibili. In materiale ambientale non si può parlare, di certo, di tassi di sconto. Tutto ciò è potenzialmente dannoso.

In conclusione, sarà bene mettersi in testa che nessun modello economico funziona se la Terra finisce di vivere.

Gli effetti del caro vita sull’economia

Il problema più grande è la perdita del valore simbolico dei cibi. Sono diventati commodities, beni di consumo senza anima

Carlo Petrini

Oggi come oggi, uno dei temi più ricorrenti nelle famiglie italiane ma, anche, quelle di altri paesi europei e non, è proprio quello di come poter cercare di risparmiare sul budget che si ha disposizione. Come Advisor, poi, tengo a sottolineare, che il caro vita e, di conseguenza, una disponibilità inferiore ad acquistare bene e servizi, ha una ricaduta alquanto negativa su tutta l’economia sia nazionale e sia globale.

In pratica, oggigiorno, si può ben dire che la meditazione Zen, sia elemento di base per affrontare questo procelloso oceano.

Partendo dal fatto che già di base la disponibilità economica di una famiglia del XXI secolo si è andata ad assottigliarsi a causa di una pressione fiscale che pare sia senza limiti, da Advisor devo sottolineare che questo determina anche un forte calo negli investimenti.

Ovvero, dato che parte del proprio guadagno deve essere riservato allo Stato, una altra parte in spese improrogabili e una parte necessita per poter vivere quotidianamente, il potenziale investitore si trova a non disporre più di un minimo di capitale da poter, eventualmente, investire. A fronte del fatto che l’economia è frenata, infatti, molte persone badano più a risparmiare proprio per poter sopravvivere dignitosamente piuttosto che pensare a investimenti finanziari.

Il processo attuale, pertanto, innesca delle dinamiche ove, al di là della impossibilità di non utilizzare parte del proprio budget per cibo e altri primari beni e servizi, non vi siano effettive risorse tanto per effettuare investimenti quanto per alimentare le vendite e, quindi, la produzione.

Certo, una parte delle persone non ha alcuna necessità di dover cambiare minimamente il proprio stile di vita, ma sono una minima parte. Tutti gli altri cercano ogni modo per riuscire a risparmiare e spendere meno soldi. In questi casi, mi tornano in mente tutti quegli insegnamenti ricevuti in gioventù, da tutte quelle persone che hanno saputo, per gran parte della loro vita, essere felici pur non disponendo grandi opportunità economiche. Forse, quella era la giusta mentalità, la chiave per comprendere bene come sia possibile trovare appagamento nel vivere con poco.

Certo, adesso come adesso, non è un cambiamento che può essere fatto dalla notte al giorno, tuttavia vale la pena ricordarlo e trarne beneficio. Infatti, sono quanto mai convinto che vi sia la possibilità di cambiare. Ad esempio, un buon viatico è quello di imparare di utilizzare al meglio le personali risorse che si hanno a disposizione evitando, così, gli inutili sprechi.

Una delle spese principali in ogni bilancio famigliare sono quelle riservate alla casa. Per vivere bene risparmiando, si può iniziare a riscoprire quanto erano soliti dire e fare i nostri antenati. I nostri nonni, pur in condizioni di vita molto meno agiata rispetto alla nostra, sapevano assicurare, nella maggioranza dei casi, stili di vita naturali e ampiamente soddisfacenti.

Oggi, si pensa solamente a regalare ad un bambino l’ultimo modello di telefonino! Invertire l’ordine delle priorità, in conclusione, deve essere sentito e visto, come un potente volano per riprendere il nostro cammino e dare, a tutta l’economia, un volto molto più umano.

Leggi i miei interventi sul mio sito professionale www.advisorabbate.com

Il sogno del Piano Marshall, un lontano ricordo

La gente mi lusinga fintanto che io non intralcio il suo cammino. Ma se dirigo i miei sforzi verso obiettivi che non gli aggradano, mi rivolge immediatamente insulti e calunnie in difesa dei suoi interessi

Albert Einstein

Anche se ufficialmente era stato chiamato European Recovery Plan, ovvero piano per la ripresa europea, è a tutti molto più noto come Piano Marshall. Di base, si trattava di uno dei vari piani che gli Stati Uniti, avevano elaborato, al termine del secondo conflitto mondiale, volto alla ricostruzione dell’Europa.

Come Advisor ho sempre, avuto su questo tipo di piano politico ed economico statunitense, alcune riserve. Anche se è considerato la base sulla quale si ebbe in Italia tra gli Anni Cinquanta e Sessanta quello che venne chiamato “Miracolo Economico”, si deve ammettere che non fu molto lungimirante.

Come era stato originariamente previsto, il Piano Marshall ebbe il suo naturale termine nel 1951, in pratica nello stesso periodo nel quale ebbe inizio la guerra in Corea.

Da Advisor, considero il Piano Marshall un po’ un sogno e un po’ un tentativo di rilanciare una economia che era stata propriamente distrutta e depredata proprio da chi aveva vinto la seconda guerra mondiale. Basta semplicemente pensare alla vera e propria caccia che venne effettuata tanto dagli americani quanto dai russi per accaparrarsi le migliori menti pensanti della Germania sconfitta. Una caccia sistematica che coinvolse anche i più famosi scienziati tedeschi.

Per quanto verte l’Italia le cose erano differenti. Infatti, non ci si può scordare che in quel particolare frangente del dopoguerra, non si erano affatto spente le dure conseguenze di una atroce guerra civile e di quanto fosse organizzato e pronto alla rivoluzione proletaria armata l’allora partito comunista.

Quindi, per evitare nuovi problemi, gli Americani pensarono bene di far arrivare soldi per rilanciare l’industria. In pratica, in cambio di un momentaneo benessere, si cercava di precludere ad ogni tipo di insurrezione armata di stampo comunista. Se è vero che per un certo periodo l’Italia godette di un effettivo benessere e, anche, altrettanto vero che proprio in quella scelta si trovano le origini ai problemi che successivamente fecero tremare l’intera economia nazionale.

Infatti, a seguito di determinate scelte geo politiche a partire dagli Anni Settanta l’Italia era già suddita del petrolio e, la crisi petrolifera voluta dagli Stati arabi, innescò tutta una serie di eventi a lunga gittata e di assoluta complicatezza.

Quel che può essere considerato un vero e proprio punto di svolta dei complessi e articolari equilibri economici e politici, fu proprio il 1973. Non per nulla, molti economisti lo definirono l’anno choc. Infatti, il mondo occidentale, e anche gli Stati Uniti si trovarono impreparati a questo nefasto evento, venne investito dall’aumento dei prezzi del petrolio da parte del mondo arabo in guerra per far sparire lo Stato d’Israele. Per la prima volta apparirà la parola austerity.

Successivamente, negli Anni Ottanta i governi italiani si lanciarono in politiche fiscali alquanto spericolate, provocando deficit di bilancio molto elevati. In conclusione, il sogno del Piano Marshall è andato, sostanzialmente, a naufragare, impattando con la dura realtà che ancora oggi, tristemente, l’economia mondiale sta attraversando.