La disoccupazione giovanile e le implicazioni economiche

Il peggior mestiere è quello di non averne alcuno

Cesare Cantù

Come Advisor reputo che alla base di una sana economia vi sia un corretto ricambio generazionale. Ogni paese, infatti, ha assoluta necessità di forze nuove e fresche per prosperare anche in campo economico. Di conseguenza, i giovani devono essere visti come il futuro di una nazione.

Questo per l’Italia è un qualcosa di totalmente ignorato e scarsamente valorizzato e le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Il dramma della follia e che il Paese Italia è governato da una classe politica che è stata in grado di creare un assurdo ciclo vizioso. Non per nulla, da una parte si è allungata l’età pensionabile e dall’altra si è andato a precludere un naturale ricambio generazionale.

In pratica si è pensato di costringere i lavoratori ad andare in pensione a quasi settant’anni e, nel contempo, di precludere ai giovani di accedere in maniera definitiva nel mondo del lavoro.

Da Advisor, reputo che tutto ciò sia estremamente pericoloso. Non si può, infatti, non osservare come il tutto abbia creato una futura generazione intrisa di dubbi e, per molti versi, di disperazione unitamente a tutta una popolazione di lavoratori che vorrebbe, finalmente, tirare il fiato.

In questo disastroso e disastrato panorama emerge, chiaramente, la totale incapacità della politica italiana, il frutto di governi non votati dal popolo che, tuttavia, hanno così profondamente inciso sulla vita dei suoi cittadini.

Per affondare volutamente il dito nella piaga, si deve mettere anche in risalto la mancanza di congruenza tra una formazione e il mondo del lavoro.

Infatti, anche sulla preparazione scolastica e universitaria vi sarebbe molto da dire. Non a caso, questo aspetto incide notevolmente sulla problematica della disoccupazione giovanile, con le ovvie implicazioni economiche.

Recentemente ho avuto l’occasione di partecipare ad un convegno incentrato proprio su questo aspetto.

Orbene, ho sentito che meno della metà dei datori di lavoro rimane soddisfatta del livello di preparazione dei loro dipendenti e che molti hanno ancora posti vacanti dato che non sono riusciti a reclutare qualcuno con le giuste competenze.

In particolare. Mi ha profondamente colpito il fatto che quasi tutti i possibili datori di lavoro si riferivano ad una forte carenza di competenze soft skills, ossia di quelle competenze trasversali che evidenziano le qualità personali quali, ad esempio, l’atteggiamento e l’etica nel lavoro, la comunicazione orale e le relazioni interpersonali. Di fatto, non vedono una capacità di essere dei veri leader. La transizione tra studio e lavoro è delicata.

Una volta che i giovani hanno in mano un diploma oppure una laurea debbono confrontarsi con la rigida regolamentazione del mercato senza avere, effettivamente, la più che pallida idea di quali siano le regole. Alla fine, il tutto si tramuta in una assurda lotta per trovare un lavoro, il che non fa altro che accentuare ulteriormente le difficoltà dei giovani.

In conclusione, sono dell’opinione che da un lato le università devono promuovere studi più modulati all’esigenze del mondo del lavoro formando non solo professionalmente, ma anche praticamente le future generazioni e dall’altro le aziende devono comprendere maggiormente il loro ruolo di transizione professionale. Peccato che di mezzo vi è una classe politica tutt’altro che capace.

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